Annata senza api e senza miele, un 2016 senza ronzii e dalle arnie vuote. Un risultato così negativo non si ricordava da 35 anni: dai valori medi di tremila tonnellate di miele, quest’anno si arriverà a malapena a mille. Una crisi che registra un meno 70% rispetto alle produzioni di 5 anni fa. Da nord a sud il collasso investe tutta l’apicoltura italiana. Produzioni rasenti lo zero per il miele d’acacia del Piemonte e del Triveneto e per il miele d’agrumi in Sicilia.

Un milione e mezzo di alveari, il miele made in Italy è un’eccellenza, considerato numero uno al mondo, in termini di qualità e tracciabilità della filiera. Ma da quattro anni la produzione nazionale non basta, così a riempire i ripiani dei supermercati arrivano sempre più vasetti di altre bandiere.

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Pesticidi e cambiamenti climatici, sul banco degli imputati. Responsabili di questa penuria ci sono proprio questi due fattori, denunciano con veemenza Giancarlo Naldi, presidente dell’Osservatorio Nazionale Miele e Diego Pagani, presidente Conapi (Consorzio nazionale Apicoltori). “Non c’è nettare, qui in Piemonte è stata una primavera anomala: bombe d’acqua, caldo estremo e vento impetuoso – commenta Francesco Panella, presidente Unaapi (Unione nazionale associazioni apicoltori italiani) – anche in altre zone d’Europa la situazione è analoga, è cambiato il clima”.

A pagarne le spese, neanche a dirlo, ancora una volta ci sono i consumatori e su ben due fronti: agli scaffali e alla cassa. Il primo pericolo per gli acquirenti è quello di mettersi nel carrello prodotti scambiati per italiani. C’è la contraffazione ma c’è anche l’italian sounding: mascherare i prodotti utilizzando parole e immagini che facciano pensare allo Stivale. Insomma, gli agropirati del miele sono sempre dietro l’angolo, un po’ come accade per l’olio di oliva e tanti altri prodotti del Belpaese. I mieli stranieri provengono soprattutto da paesi extraeuropei e c’è da stare attenti, ad esempio, a quello cinese che viene addizionato con zuccheri di riso.  Ma come si diceva, altre spiacevoli sorprese arriveranno sullo scontrino: prezzi di listino rincarati in media del 20%. Il cambiamento climatico lo paghiamo a caro prezzo nella quotidianità e non in un futuro prossimo incerto.

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Ma che mondo sarebbe senza le api? Di sicuro sarebbe un mondo meno biodiverso. Sarebbe un mondo con meno colori: meno prati fioriti e meno frutta nei cesti delle tavole. Basta un dato: un terzo del nostro cibo è impollinato dalle api.

È un circolo vizioso. L’aumento della domanda di cibo e di biocarburanti trasforma ampi terreni in monocolture. Le monocolture favoriscono parassiti, perciò aumentano i pesticidi e spariscono le api.

Non solo l’agricoltura. Da questi insetti, più leggeri di un grammo, dipendono anche le industria della carne e del latte: sono le api che impollinano l’erba medica che sostiene il bestiame d’inverno.

“In annate difficili come queste, aumenta il rischio frode e miscelazioni, per questo sono stati finora effettuati oltre 300 controlli da parte dell’Icqrf (Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari) – ha fatto sapere il vice ministro dell’agricoltura Olivero – per quanto riguarda gli apicoltori creeremo le condizioni perché i piccoli allevatori possano aggregarsi in maniera più semplice, per evitare il rischio-abbandono per il mancato giusto reddito”.

Si tratta di interventi doverosi che come cure palliative mitigheranno le conseguenze di questa crisi. Ma si sa che prevenire è meglio che curare: il problema alla base resta la moria delle api. E su questo il governo ha gravi responsabilità. “Il progetto Beenet che monitorava lo stato di salute delle api, è stato interrotto nel 2014 per mancanza di fondi” denuncia il presidente Conapi. “Rifinanzieremo il progetto di monitoraggio ambientale entro l’anno – promette il vice ministro – stipuleremo accordi con le Regioni, contando anche su un fondo nazionale di 680 mila euro”.

Che mondo sarebbe senza api? Meglio non scherzarci troppo, perché come diceva Einstein: “Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”.

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Corrispondente dalla sua terra ligure. Approda a Giornalisti nell'erba dopo l'esperienza elettrizzante di inviato in "Expo Milano 2015". È laureato magistrale in Biologia a Milano. Gruppo sanguigno: giornalista ambientale e scientifico, ma ha scritto per diverse testate dalla cronaca, alla politica fino al settore ho.re.ca. Ama la natura sotto il pelo dell'acqua, con maschera e pinne, ma anche dall'alto, ottimo sul dorso di un cavallo. La comunicazione è l'ingrediente delle sue giornate. Collabora con Acquario di Genova (ha un passato da Whale watcher). Colazione rigorosamente focaccia e cappuccino. Aperitivo, spritz o Mojito. Appassionato di arte (debole per Caravaggio), bioetica, lettura e feste in spiaggia in buona compagnia. Contatto: g.vallarino@giornalistinellerba.it

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