COP25, 6/12 – La scienza cerca di alzare la voce nel tentativo di far alzare anche l’asticella delle ambizioni degli Stati nella lotta al cambiamento climatico. A COP25 si susseguono presentazioni di report allarmanti, sia sullo stato dell’arte che sulle previsioni per il futuro.
L’autorevole Germanwatch da Madrid avverte ad esempio che negli ultimi due decenni, dal 1999 al 2018, solo l’Italia ha registrato 19.947 morti riconducibili agli eventi meteorologici estremi, i quali hanno causato perdite economiche quantificate in 32,92 miliardi di dollari.
Nel suo Climate Risk Index si legge che nel solo 2018 gli eventi estremi hanno causato in Italia 51 decessi e 4,18 miliardi di dollari di perdite: il nostro paese appare al sesto posto nel mondo per numero di vittime e 18a per numero di perdite economiche dovute ad eventi meteorologici estremi. Negli ultimi vent’anni, l’Italia risulta il 26° paese più colpito al mondo. Nel 2018 è al 21° posto, mentre il paese più colpito risulta essere il Giappone, che l’anno scorso ha dovuto fare i conti con piogge eccezionali, ondate di calore e tifoni. Seguono Filippine, Germania, Madagascar, India, Sri Lanka, Kenya, Ruanda, Canada e Fiji. In termini assoluti, è l’India a essere prima sia per numero di vittime (2.081, davanti alle 1.282 giapponesi e alle 1.246 tedesche), sia per perdite economiche: (37,8 miliardi, cui seguono i 35,8 miliardi del Giappone).
Nel rapporto “10 New Insights in Climate Science 2019”, anche questo presentato a COP25 e consegnato oggi alla segretaria esecutiva dell’UNFCCC Patricia Espinosa, si legge chiaramente che Il cambiamento climatico è più veloce e potente di quanto previsto. (leggi qui)
Da Copernicus e il suo sistema dei satelliti (Copernicus Climate Change Service europeo) arriva la notizia che lo scorso novembre è stato il più caldo mai registrato (0.64°C sopra la media globale, mentre in Europa abbiamo raggiunto 1,5° in più della media).
Global Carbon Project invece riporta le proiezioni del Global Carbon Budget 2019, ovvero una stima per l’intero anno dell’aumento delle emissioni globali di anidride carbonica. Un pezzettino di buona notizia nascosto nella desolazione dell’andamento generale: non abbiamo ridotto le emissioni, ma almeno abbiamo rallentato la loro crescita. Magra consolazione: il tasso di crescita nel 2019 è destinato a scendere allo 0,6 per cento, in calo rispetto al 2,1 per cento dell’anno precedente. Ciò è dovuto – secondo gli analisti – al calo del consumo di carbone nell’Unione europea e negli Stati Uniti, nonché alla più lenta crescita dell’uso del carbone in Cina e in India e alla crescita economica globale complessivamente più debole. Il declino nell’uso del carbone, comunque, è stato compensato dalla crescita sostenuta di petrolio e gas naturale.
Nello studio si prevede che le emissioni globali derivanti dall’uso di carbone diminuiscano dello 0,9 % nel 2019 (intervallo: -2,0 per cento a +0,2 per cento) a causa di un calo stimato del 10% negli Stati Uniti e di un calo del 10% in Europa, combinato con una debole crescita dell’uso di carbone in Cina (+0,8 per cento) e India (+2 per cento).
E’ vero che lo studio ha un intervallo di incertezza tra -0,2% e +1,5% (o +/- 0,7%) e che, quindi, un calo delle emissioni globali nel 2019 non può essere ancora del tutto escluso, ma la recente crescita delle tecnologie a basse emissioni di carbonio (energia solare, eolica, veicoli elettrici), comunque, ha solo rallentato la crescita delle emissioni globali di combustibili fossili. Siamo ancora lontani dal vedere riduzioni aggressive.
“Le emissioni di anidride carbonica devono diminuire drasticamente se il mondo deve rispettare il goal “ben al di sotto dei 2°C” stabilito nell’Accordo di Parigi”. Il fatto che ogni anno le emissioni crescano (anche se con minore vigore), “rende tale obiettivo ancora più difficile da raggiungere”, come ha detto Robbie Andrew, ricercatore senior presso il Centro CICERO per la ricerca internazionale sul clima in Norvegia.

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