cinaExpo Milano 2015, 9 settembre – Due vie principali, il Cardo e il Decumano (per ricordare le origini di Milano), affiancate ai lati da costruzioni semplici ed ispirate a tende romane facilmente rimovibili, dotate sul retro di orti in cui ogni paese avrebbe potuto coltivare i propri prodotti e porli su di una tavola lunga più di un chilometro: questo il progetto iniziale dell’Expo, purtroppo abbandonato, sembrerebbe, per le necessità degli sponsor. Visto che la città giardino originariamente prevista come futuro della manifestazione non è più realizzabile, viene da porsi una domanda: cosa avverrà all’enorme spazio cementato costellato da padiglioni di varie dimensioni e natura, a testimonianza dell’odierno contrasto tra paesi ricchi e poveri che Expo deve invece aiutare a superare? Per adesso non vi è nessuna offerta per comprare il terreno, e il suo destino è ancora incerto; tuttavia, facendo qualche domanda agli addetti dei pochi padiglioni che si possono visitare in un giorno, al massimo una decina, qualche idea sul loro destino ce la siamo fatta.

Se alcuni paesi hanno ben pensato di proporre strutture eco sostenibili, altri invece pare non abbiano ancora deciso che cosa fare di parte delle loro costruzioni o addirittura degli interi padiglioni.

Partiamo dal Brasile: sembra che voglia riportare la propria intera pesantissima installazione prima a casa e poi nel 2020 a Dubai: per quanto riguarda la rete sopraelevata su cui si può camminare, potrebbe non essere troppo difficile; quanto alla pesante gabbia di ferro esterna, ci chiediamo, sempre che sia davvero loro intenzione smontare e rimontare, se sia davvero conveniente, vista la mole della costruzione.

La Francia ha avuto un diverso approccio: il suo supermercato con i prodotti sul soffitto, modulare e facilmente smontabile potrebbe essere stato concepito per tornare in patria, anche se sul sito di Expo c’è scritto che la Francia voglia vendere il suo padigliore. Questo paese non è stato comunque l’unico a pensare al futuro della propria struttura: il principato di Monaco ha realizzato il proprio spazio espositivo usando variopinti container ferroviari, quindi solo riciclando materiale disponibile che poi potrà essere di nuovo utilizzato: vorrebbe donarlo al Burkina Faso. La Svizzera, invece, trasformerà le sue quattro torri di vetro e acciaio in orti verticali ed impiegherà il resto della struttura in legno nella costruzione di una casa per anziani. Le pareti di 12 metri del padiglione degli Emirati Arabi, resistenti a condizioni estreme, smontabili, dovrebbero essere riassemblate, insieme al resto dell’edificio, nel deserto, a Masdar, una città a basse emissioni ed estremamente tecnologica, per fare ombra a eventuali viaggiatori nel pieno rispetto dell’etica sostenibile del luogo.

L’Austria vuole consegnare tutte le piante usate per ricreare un gradevole microclima di una foresta nel proprio padiglione all’alpinista Messner, che ha acquistato i vari alberi per il suo giardino, e impiegherà il legno della costruzione per realizzare un centro yoga. Infine, e riutilizzerà i pannelli solari per produrre energia verde. La Germania, invece, sembra aver ricevuto un’offerta da un compratore olandese, che vuole acquistare la struttura così com’è, inclusa la mostra all’interno: se fosse o meno previsto un altro progetto prima di questa offerta non sappiamo.

Non tutti i paesi, però, hanno pensato in modo ecosostenibile: la Cina, ad esempio, sembra che voglia portare via solo parte della sua immensa costruzione, probabilmente l’enorme quantità di led usata per creare colorati spettacoli raffiguranti le varie stagioni in un campo coltivato, mentre non si sa ancora se il resto della costruzione verrà riciclato o distrutto.

Incertezze anche sullo spazio espositivo inglese, costruito per fare immedesimare il visitatore nei panni di un’ape. Il gigantesco alveare collegato con sensori ad un favo a Nottingham dovrebbe essere riportato in Inghilterra per continuare a monitorare le api, ma non si sa bene che fine farà il resto.

Black out totale di informazioni dal padiglione coreano: nessuno ha saputo dirci se sono state prese decisioni sul destino della struttura.

Le incertezze sul futuro dei padiglioni impensieriscono. Entro metà del 2016, tutto dovrebbe essere smantellato e pulito. Speriamo di non vedere ammassi di rovine sul posto o un aumento di rifiuti nelle discariche, un danno da aggiungere ad altri come ad esempio il progetto della città d’acqua, abbandonato nonostante li costi sostenuti per il canale che ne doveva essere il centro, per via della pressione insufficiente per le irrigazioni a cui doveva essere adibito.

Il problema è che molti espositori probabilmente non hanno progettato strutture eco sostenibili, facilmente smontabili senza sprechi, come sarebbe stato augurabile visto che la possibilità di sfamare il pianeta dipende anche dall’utilizzo efficiente e consapevole delle poche risorse rimaste a nostra disposizione. C’è da sperare che lo spazio di Expo non segua lo sfortunato destino di diverse altre installazioni espositive del passato diventate tristi cattedrali nel deserto, emblemi proprio di quella ostentazione e di quello spreco che Expo è invece chiamata a condannare.

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