Andrea Bertaglio, giornalista con un solido passato da attivista ecologista, con trascorsi anche nel movimento della Decrescita felice, scrive quest’anno un ottimo libro, “In difesa della carne” (ed. Lindau 2018). Non c’è alcuna contraddizione, vi assicuro. Bertaglio non si è venduto l’anima, anzi.
Ha avuto coraggio, questo sì (e anche il suo editore). Il coraggio di andar contro corrente, di scrivere di un argomento fuori moda non solo tra gli eco-benpensanti (l’audience sale con la demonizzazione della carne); il coraggio, raro ahinoi, di rivedere e rielaborare convinzioni, senza abbandonare i suoi ideali di base. E lo ha fatto avvicinando anche altri mondi, oltre a quello dell’ecologismo “in cui si rischia, a lungo andare, di perdere lucidità”: il mondo delle aziende, della ricerca, della produzione industriale, dove ha trovato in molti casi professionalità ed apertura.
Vegano però non lo è mai stato. E non solo perché da buon lombardo ama carni e salumi, formaggi e altri derivati animali, non solo perché collabora con l’Associazione Carni Sostenibili. Non è vegetariano, né tanto meno vegano: non lo era neppure “nei momenti più attivi dal punto di vista ambientalista”, neanche “quando ho scritto la prefazione al libro di un’icona del mondo vegan italiano, Stefania Rossini”. “Il veganesimo, scelta di vita rispettabilissima sotto molti punti di vista – spiega Bertaglio – è a mio avviso il miglior esempio di scollamento dell’essere umano urbano dalla natura, e da come funziona veramente questo pianeta. La natura è crudele, e non esiste forma di vita che, per sopravvivere, non si nutra di un’altra forma di vita. E’ la base della vita stessa. Fa sorridere quindi vedere erigere a simbolo della difesa della natura uno dei fenomeni più artificiali di sempre; ed è inquietante vedere come la difesa degli animali sia ridotta ad una mera umanizzazione degli stessi”.
La carne, a livello nutrizionale, economico, sociale e culturale, e a volte religioso, occupa sempre un posto di rilievo, “e un motivo ci sarà. Per questo oggi, nel ricco e annoiato Occidente c’è qualcosa che non mi convince nella nuova moda un po’ radical chic di opporsi al suo consumo. E’ da un po’ di anni che faccio il giornalista e so bene quanto sia facile cedere alla tentazione di trattare argomenti che tirano, focalizzandosi più sugli ascolti, i clic e le copie, che sulla notizia in sé”.
“Tra i molti che si riempiono la bocca della parola “etica”, o che hanno fatto della difesa degli animali la propria ragione di vita, è diffusa l’idea che un essere umano sia al pari di un animale. Ma io non mi sento pari a un pollo o ad una vacca. Non ho mai visto un animale guidare un’auto, progettare un aeroplano, eseguire un’operazione chirurgica, sviluppare scienza, letteratura, filosofia, tranne che nei cartoni animati. Sui social, sui blog, spesso l’approccio è da cartone animato: non reale, come fosse un mondo a parte, che però non esiste. Molte delle persone che si scagliano contro la zootecnia non hanno visto mai un allevamento, tranne che nelle immagini spesso provenienti da altri continenti, del sito animalista o della trasmissione scandalistica di turno”.
La verità è che “c’è un mondo che ha sempre più fame di carne, che ci piaccia o no. Vale quindi la pena di cercare modi meno impattanti di produrla. Su questo pianeta ci sono 140 nuovi nati ogni minuto che avranno fame e che sarà opportuno (etico?) sfamare in modo dignitoso” continua Bertaglio. “Non sarà di certo chiudendoci nel nostro autocompiacimento o mangiando solo insalatina, quinoa e tofu (di cui peraltro conviene non sapere da chi e come viene prodotto, né conoscerne l’impronta ecologica o il carbon footprint) che cambieremo davvero le cose”.
In difesa della carne è un libro molto ben documentato, dati solidi alla mano, dai valori nutritivi della carne (100gr di carne rossa coprono circa il 25% della dose giornaliera di B2, B3, B6m B5 e i due terzi di B12, “la bestia nera del mondo vegan, la sua carenza può provocare grave forma di anemia e ritardi nello sviluppo congnitivo dei più piccoli”), al suo contributo all’evoluzione della specie, dai rischio per la salute, passando per la classificazione IARC, all’impronta idrica per la sua produzione (davvero 15mila litri d’acqua per un chilo di carne? O forse 300 litri a settimana?). Nuove mode ed estremismi alimentari è il capitolo che si apre con la rivoluzione vegan (solo il 3% si dichiara vegan – si dichiara poi non vuol dire che lo sia davvero) o con la moda che porta il 30% degli italiani a mangiare gluten free, con i fruttariani che salveranno il mondo (i più ortodossi mangiano solo frutti senza semi, perché questi sono embrioni delle piante, ma non si sa se mangiano solo quelli caduti dagli alberi, in modo da ridurre l’impronta ecologica). Carne, antibiotici ed ormoni: anche qui, dati alla mano, Bertaglio va a fondo alla questione; poi quella delle emissioni di Co2 equivalente e le deforestazioni, il benessere animale, i controlli…
Ma il libro lo dovete leggere, non voglio spoilerare. Io l’ho letto. Mi è piaciuto. E mi è piaciuta – ma già mi piaceva – la serietà e l’onestà del suo autore.
Io non sono vegana né vegetariana e di sito sono contraria al modi di pensare vegano perché di solito sono no vax, complottisti ecc,però anche questo testo fa acqua, ma l’autore per caso sa fare una chirurgia? Sa progettare un aeroplano, perché se non sa allora sta allo stesso livello di un cane o un gato, insomma argomenti più validi ci sono…
Gentilissima De Oliveira, non capisco a chi si riferisce, se all’autore della recensione (nel caso è Paola Bolaffio, il direttore del giornale) o se all’autore del libro recensito. In ogni caso non capisco comunque cosa c’entri un intervento chirurgico o la guida di un aeroplano con lo studio dell’impatto degli allevamenti o la moda vegan. Se ce lo spiega magari rispondiamo meglio. Saluti