Il processo ai clan di Ostia, 27 imputati per associazione a delinquere di stampo mafioso, si è aperto il 6 giugno. Ma Ostia non c’era, non c’erano le vittime, non c’erano i cittadini. Federica Angeli, la cronista di Repubblica che ha indagato sul clan e che vive sotto scorta per le minacce ricevute, è indignata: “Lo Stato è finalmente arrivato a Ostia, ma i suoi cittadini gli hanno voltato le spalle”.
E non andrà appunto ad Ostia a presentare il libro, “A Mano Disarmata” (Baldini + Castoldi 2018), i cui racconta la sua battaglia e i i suoi 1700 giorni di vita blindata. Un libro che il giorno dopo l’avvio del processo è insieme all’autrice all’evento “La Violenza è sempre mafiosa” organizzato non a caso dall’associazione A Mano Disarmata, della quale, per mano di Paolo Butturini, riceve la tessera numero uno.
Helodie Fazzalari la intervista per giornalisti Nell’erba.
di Helodie Fazzalari
“Mamma, mamma andiamo a vivere in Costa Rica, voglio andare a vivere in Costa Rica”.
E’ una sera di inizio giugno calda e umida che preannuncia l’inizio dell’estate e Lollo oggi ha un solo desiderio: andare a vivere in Costa Rica.
Lollo è uno dei tre figli di Federica Angeli, un ragazzino che probabilmente per la sua giovane età non ha ancora nemmeno la consapevolezza di dove si trovi di preciso il Costa Rica; ciò che possiede invece sono tante speranze, molti sogni e probabilmente il desiderio di vedere mondi e realtà lontane dalla sua. Ma è esattamente la sua vita, quella dei suoi fratelli, della sua famiglia, che la mafia ha voluto minacciare.
La violenza della minaccia, la violenza fisica, il ricatto, l’emarginazione, il bullismo, il femminicidio, l’estorsione. Violenze che apparentemente appaiono slegate una dall’altra ma che possiedono uno stesso sottilissimo filo conduttore: la non accettazione dell’altro.
“La violenza nasce con la narrazione biblica”, spiega Moni Ovadia durante l’incontro “La violenza è sempre mafiosa” organizzato il 7 Giugno dall’associazione “A mano disarmata”, nel quale sono stati presentati i libri: “Indifesa” di Giuseppe Cesaro e “A mano disarmata” di Federica Angeli.
“Caino non è cattivo ma ha delle difficoltà con l’altro. L’arrivo di Abele mette in discussione il suo stato di beatitudine. Si tratta del problema del mancato accoglimento dell’altro”, dice Ovadia.
Ma chi è l’altro? “L’altro è uno straniero”, come si legge nell’incipit del libro “Stranieri a noi stessi” di Julia Kristeva. “Lo straniero ci abita, è la faccia nascosta della nostra identità […] riconoscendolo in noi ci risparmiamo di detestarlo in lui”.
La paura dell’altro è racchiusa anche nell’invidia dell’utero, quella dell’uomo nei confronti della donna, unica creatura in grado di procreare, ora anche senza l’esistenza del maschio. L’invidia dell’utero spiega il senso primo del maschilismo, tanto quanto la paura dello straniero rivela la ragione della violenza e dell’emarginazione sociale.
Una motivazione comune che spinge l’aggressore non solo ad isolare il ‘diverso’, ma a costringerlo con le spalle al muro e con il piede sull’uscio della porta.
“O sei dentro o sei fuori, o con noi o contro di noi”: funziona così la mafia e funziona così ogni tipo di violenza partorita e cresciuta in una culla di omertà, rifiuto dell’altro e negazione del diverso.
Dunque “La violenza è sempre mafiosa”. La cronista di Repubblica Federica Angeli lo sa bene e la sua anima di madre, di donna e di cronista è ben a conoscenza di cosa vuol dire avere paura.
Il liquido infiammabile trovato sotto la porta di casa, gli insulti via social, il segno della croce fatto a suo figlio da uno degli esponenti del clan Spada di Ostia, l’hanno spinta ad utilizzare la sua penna, “l’unica arma che ho a disposizione” per denunciare la criminalità e difendere non soltanto la sua persona ma i cittadini di Ostia. “Per 40 anni gli Spada hanno comandato ad Ostia e per 40 anni nessuno ha avuto il coraggio di denunciare”. La voce della Angeli è uscita potentemente fuori dal coro muto, denunciando due membri della famiglia Spada e dando il via, dopo anni di indagini, al maxi processo che è iniziato il 6 giugno nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, che ha portato alla sbarra 27 persone ritenute appartenenti al clan del litorale romano. Oggi la Angeli si dice delusa, indignata con gli stessi cittadini che ha difeso per ben 1736 giorni e che al maxi processo non hanno avuto il coraggio di presentarsi.
“La mia dignità ha fatto si che non mi abbassassi mai a quelle regole. Con la scorta io mi prendo le paure di tutti i cittadini, posso farlo. Ma ieri, quando finalmente lo Stato c’è ed è al loro fianco, i cittadini non si sono presentati; è arrivata la giustizia, l’Esercito, Libera, la regione Lazio, il comune di Roma, ma i cittadini erano assenti, hanno deciso di continuare a fare gli struzzi”.
“Visto che vi piace essere schiavi, rimanete tali, ma non con me al vostro fianco”, tuona Angeli.
E lo schiavo, chi è lo schiavo? Lo schiavo è essenzialmente un ‘indifeso’, esattamente come Andrea, il protagonista del libro di Cesaro. L’anima di Andrea è costellata da episodi di violenza e la sua vita si consuma in una disperata ricerca dell’essenza del proprio io, nell’accettazione del suo essere e nel disperato bisogno di comunicarlo agli altri. Andrea è schiavo due volte, in un primo momento del suo essere, ma non appena riesce a prendere consapevolezza del proprio io, si ritrova a sbattere contro il muro della società, il muro del gruppo, restando in bilico in una “identità mobile”, per dirla come Moni Ovadia, che gli dona una nuova libertà.
La Angeli ha scelto di non essere schiava, ma ha dovuto rinunciare ad una vita libera e viaggia costantemente sotto scorta.
Ai bambini, la mamma però ha regalato una sorta di fiaba: gli autisti della scorta sono una promozione che ha ottenuto a lavoro, ‘un premio’ più che meritato che il giornale ha dato alla mamma per i suoi bellissimi pezzi. I criminali appostati sotto casa? Spasimanti della mamma troppo innamorati, dai quali fuggire evitando di passare davanti al balcone, e dei quali annotare le ore di appostamento, così da misurare il grado di innamoramento.
La pattuglia dei carabinieri, gli uomini della scorta, osservano i tre bambini della Angeli giocare nel cortile della Fondazione Exclusiva, “prendimi, prendimi se ci riesci>>, urla la piccola Viola ai fratelli. La scorta vigila. La favola della vita bella per i bambini al momento ha avuto un lieto fine, dice Angeli mentre presenta il suo libro. Il processo al clan è iniziato.
“Ma io so che non è finita. Non finisce. La Mafia non dimentica mai”.
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