#IJF17 è stato il mio undicesimo Festival del giornalismo e per l’undicesima volta applaudo Arianna Ciccone e a Chris Potter. Lunedi ho fatto la prenotazione per le date dall’11 al 15 aprile del 2018, perché già so che ci andrò e già so che ad andarci saranno ancora di più di quest’anno.
E’ imperdibile
Imperdibile per tante ragioni, ad ognuno le sue. C’è chi va – ed è bello che possa essere così semplice – per stringere la mano ai big del giornalismo mondiale, per allungare i propri contatti, ed avere quelli di chi potrebbe, forse, chissà, esserti utile, per sedersi al tavolo a fianco a quello di Severnigni o Mentana o Calabresi o Formigli o Travaglio. Chi va per incontrare nuove realtà di giornalismo imprenditoriale, chi per ascoltare, chi per domandare e scambiare, chi per prendere e non dare. Io vado per capire ed imparare. Vado perché è a Perugia che si incontra tutto il giornalismo, da quello mainstream – forse il meno interessante in quel ricco contesto – al citizen journalism, da quello sui social network a quello scientifico, dagli inviati di guerra, e ai loro reportage, ai mojo (mobile journalism) che si muovono con tutto nel marsupio e ti tirano fuori dallo smartphone servizi e interviste video a 360° di ottima qualità online in massimo mezz’ora. Si respira aria di futuro. Si discute di tool e business plan, di fact checking e data journalism, di SEO e self publishing.
Due righe sugli sponsor
E no, non sono d’accordo con quelli che, pochi onestamente, cantilenano noiosamente troppi-spot-delle-multinazionali. Eni, Google, Facebook, Amazon, Nestlé, WordPress… innanzitutto consentono a questo festival di essere gratuito e aperto a tutti. Consentono che esista e sia di grande qualità. E comunque, tanto per dire, Nestlé, che distribuisce baci ai giornalisti, non è lì per raccontare quanto è brava e buona e bella, ma per discutere – con Manuela Kron, che guida la comunicazione del colosso in Italia – di come i consumatori hanno fame di etica e di quanto le grandi aziende siano tra le prime vittime delle fake news. Molto utile tutta la carrellata di workshop organizzati da Google, con l’aiuto di Elisabetta Tola. Gli strumenti Google sono tanti e servono anche ai giornalisti (vedi google news lab). Basta saperli usare. Stesso discorso per Facebook, che sta mettendo a punto una serie di accordi con editori e giornalisti. Amazon pure ha da offrire ottimi strumenti, che non sapevo neppure che esistessero prima di IJF17. Senza parlare di WordPress, che non è più solo il modo facile per farti il tuo sito senza uno sviluppatore a fianco, non più solo un’immensa community, ma un pianeta intero di servizi utilizzati anche da grandi giornali come il Washington Post.
Persino Eni, che potrebbe non essere il massimo come sponsor per giornalisti, ha da dire cose interessanti. Non parla di idrocarburi, neppure di Congo, o di Nigeria, ma – con Marco Bardazzi, giornalista e vice presidente esecutivo della comunicazione esterna di Eni – si confronta con Marco Pratellesi, Giovanni Ziccardi, Jacopo Tondelli e Gianni Riotta sull’analisi dei risultati del “Trust barometer” di Edelman (le persone si fidano più dell’informazione prodotta dalle aziende che si quella dei media”, mica male come tema). E Daniele Chieffi, anche lui giornalista e responsabile del social media management e delle Digital PR sempre di Eni, invece cerca di far capire come e perché le aziende utilizzano tecniche giornalistiche per raccontarsi direttamente al pubblico. Eni twitta. Lo si è visto più di una volta. Risponde in tempo reale alle accuse, dibatte con i giornalisti d’inchiesta, minaccia querele. Appunto come ha fatto appena il giorno dopo la chiusura del festival, quando Report ha mandato in onda i servizi sulla presunta tangente più grande del mondo per il giacimento nigeriano (inchiesta giornalistica che lega Eni ad una storia internazionale con ramificazioni che toccano Congo, Gran Bretagna, Usa, Kazakistan, Nigeria e ovviamente Italia, arrivando persino ai poveri conti dell’Unità). E se molti mainstream non hanno ripreso a titoloni la vicenda, non è certo perché Eni era sponsor del festival.
Monopolio delle big?
Aziende come Facebook, Google, Amazon controllano il web e non possono avere il monopolio dell’informazione. Ho sentito anche questo. Vero. Condivido. Ma loro al festival a parlare con i giornalisti ci sono, mentre gli editori no. Il festival non nega spazi a nessuno, per quanto ne so. Purché si tratti di buone idee, proposte interessanti e anche arrivate in tempo utile. Ha sempre dato spazio anche a nuove realtà, nuove produzioni e innovazioni. Lo spirito è stato questo sin dall’inizio e mi pare che sia stato mantenuto con coerenza.
Giornalisti Nell’Erba, la nostra fresca realtà, c’è sempre stata, ogni anno con una proposta nuova, serenamente nel programma con lo stesso numero di caratteri e con lo stesso corpo dei panel del capo supremo di Google. Quest’anno c’era con un workshop pratico, un’esercitazione tra giornalisti e scienziati per tradurre dati, scovarci dentro le notizie, e trasformarli in un racconto anche grafico apprezzabile per il lettore. Evento pieno, gente seduta anche sui gradini d’accesso alla sala. Avevamo anche 7 squadre di ragazzi (del liceo G. Alessi di Perugia e del liceo di Umbertide) che hanno fatto alternanza scuola lavoro facendo i reporter e raccontando il festival sulle nostre pagine (vedi sotto)
5 giorni in time-lapse
Non sono neppure d’accordo con quelli che “eventi troppo pieni e troppo corti, non fai in tempo ad imparare nulla“. Al festival si assaggia. Non è un corso di formazione. E’ un festival. Quanto al fatto che gli eventi fossero tutti sempre strapieni, questo significa innanzitutto che erano tutti di qualità e che il festival stesso richiama ormai tantissima gente da tutto il mondo. Una medaglia a quei due perugini d’adozione che sono stati capaci di rendere la loro città punto di incontro per chi si occupa di informazione nell’intero globo. Lo so, è difficile scegliere, ma saremo sempre più costretti a fare selezioni. E’ l’unica soluzione: se un evento finisce alle 15, non possiamo programmare di essere ad un altro alla stessa ora, perché sarà già pieno. Sempre più pieno.
Gente da tutto il mondo.
Giornalisti da tutto il mondo. Non solo tra gli speaker, ma in sala, a far domande, a correre lungo corso Vannucci per seguire tutto il possibile. Giornalisti africani, asiatici, americani, europei. Perugia è il luogo dove il giornalismo si incontra e si racconta. L’offerta di eventi e appuntamenti è tanto ampia – e dovrebbe essere vissuta in time lapse, vista la quantità di eventi in 5 giorni – che si ha davvero la possibilità di capire come si sta muovendo l’informazione e il fare informazione. Come dice Francesco Facchini, il mio guru mojo, “per chi vuol fare innovazione in questa professione è una autentica “place to be”, un posto dove essere. Ogni anno, per vedere la professione che cambia e i confini del possibile, dei nuovi linguaggi, dei nuovi strumenti, che si allontanano un po’ e la terra da correre e da conoscere che diventa più larga, più lunga e più sconosciuta. Quindi da esplorare. Per la nostra professione, in Italia, va quindi considerato come un imprescindibile punto di riferimento per conoscere lo stato delle cose, ma soprattutto per inventarsi un futuro”.
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