
E dire che il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ci aveva avvertito. “Le aree siccitose – spiegava un paio di anni fa Mauro Centritto (CNR) – coprono oltre il 41% della superficie terrestre dove vivono circa 2 miliardi di persone. Il 72% delle terre aride ricadono in Paesi in via di sviluppo, la correlazione povertà-aridità è dunque chiara. Se si guarda all’Italia, gli ultimi rapporti ci dicono che è a rischio desertificazione quasi il 21% del territorio nazionale, il 41% del quale si trova nel sud. Sono numeri impressionanti che raccontano di un problema drammatico di cui si parla pochissimo. Entro la fine di questo secolo le previsioni parlano, per il bacino del Mediterraneo, di aumenti delle temperature tra 4 e 6 gradi e di una significativa riduzione delle precipitazioni”.
Il Bel Paese è indietro nelle politiche di adattamento al cambiamento climatico e la conferma arriva anche dalla recente denuncia che Coldiretti lancia in merito alla gestione delle nostre risorse: “Di fronte alla tropicalizzazione del clima se vogliamo continuare a mantenere l’agricoltura di qualità, dobbiamo organizzarci per raccogliere l’acqua nei periodi più piovosi con interventi strutturali che non possono essere più rimandati. Occorrono interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali, creando bacini aziendali e utilizzando le ex cave e le casse di espansione dei fiumi per raccogliere acqua”.
Stiamo vivendo la seconda primavera più calda dal 1800 ma, ciò che preoccupa maggiormente, è la situazione piogge: meno 52% in questo periodo. Motivo che ha spinto una regione come l’Emilia Romagna a chiedere al governo lo stato di emergenza. Ma la siccità ha colpito l’intero Stivale: dal Piemonte alla Liguria, dalla Campania alla Lombardia, dalla Sicilia all’Umbria.
“Giugno bollente in Italia dove le temperature massime sono risultate superiori di 2,2 gradi la media di riferimento con un valore di 25,4 gradi mentre le precipitazioni sono risultate in calo del 52% provocando una crisi idrica di portata storica a livello nazionale – scrive Coldiretti – se al nord la temperatura massima è stata di 23,2 gradi (+2,7 rispetto alla media) e le precipitazioni in calo del 51,6%, nel centro Italia la colonna di mercurio massima è salita a 24,6 gradi con uno scarto di +2,6 mentre il deficit idrico è stato addirittura dell’85% e nel sud e isole si è registrato un massimo di 27 gradi con una anomalia di 1,8 gradi e la caduta del 64,6% di pioggia in meno”.
Duri i colpi per il settore agricolo e i prodotti dell’eccellenza italiana: “In Sardegna l’assenza di piogge sta condizionando tutti i settori agricoli, con perdite nella produzione di oltre il 40% mentre in Veneto si parla di poche settimane di autonomia. In Toscana scarseggiano anche i foraggi per il bestiame e crolla la produzione di miele. Ma la situazione è drammatica a macchia di leopardo lungo tutta la Penisola. I girasoli e il granoturco stanno seccando in Umbria, in difficoltà anche ampie aree del Lazio dove è già scattata la turnazione su tutti gli impianti irrigui dell’Agro Pontino. In Campania nel Cilento, nell’Alento e nella piana del Sele ci sono problemi per gli ortaggi e la frutta, ma anche per la mozzarella di bufala perché la mancanza di acqua mette in crisi gli allevamenti e i caseifici, mentre in Puglia perdite di produzione, aumento dei costi per le risemine, ulteriori lavorazioni, acquisti di nuove piantine e sementi sono gli effetti della siccità con gravi danni al granaio d’Italia nelle province di Foggia e Bari, dove si riscontra una perdita del 50% della produzione”.
I cambiamenti climatici, avverte sempre Coldiretti, sono costati 14 miliardi di euro all’agricoltura italiana nel decennio 2006-2016 ma in pochi mesi, e cioè dall’inizio del 2017 ad oggi, hanno già provocato danni per 1 miliardo.
C’è l’Italia nel mirino del climate change
Gli ultimi studi sull’argomento confermano che l’area del Mediterraneo è tra le più vulnerabili all’aumento delle temperature. Basti pensare che l’aumento medio globale della temperatura segna un +1,1 gradi mentre l’Italia registra già un + 2,2.
Un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Science afferma che il clima italiano si sta pian piano inaridendo, sta diventando di tipo tropicale. Tra gli effetti citati troviamo l’invasione di specie “poco piacevoli” come zanzare e meduse. Il report, inoltre, lancia pure un’allarme per un comparto d’eccellenza: il settore vitivinicolo è a rischio.
Certo è che si può (e si deve) agire in questa fase per limitare i danni del clima che cambia, ma non si può sfuggire in eterno. Se parliamo di acqua a scopo agricolo, ad esempio, dobbiamo tener ben chiaro che grossa parte delle nostre riserve stipata nei ghiacciai è già sfumata: dal 1900 il 50% del volume dei ghiacciai alpini è scomparso (con una chiara accelerazione dall’anno 1980). Questo significa minore fornitura idrica e minore disponibilità di acqua, appunto, per l’irrigazione.
Occorre una strategia chiara e decisa che limiti la produzione di emissioni climalteranti. Non c’è altra soluzione per mitigare gli effetti del climate change.
Intanto arrivano gli ultimi dati ISPRA. Al netto delle parole, i fatti dicono che le emissioni gas serra italiane hanno ripreso a crescere. La flessione degli ultimi anni, dovuta in grossa parte alla crisi economica, sembra essere ormai superata. Nel 2015 (ultimo anno censito) le emissioni sono aumentate di 9,7 milioni di tonnellate di CO2 (equivalente) rispetto al 2014.
Se questa è la strategia…
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