COP25, Madrid (dai nostri inviati) – Alle Conferenze mondiali sul cambiamento climatico (che però adesso si chiama emergenza climatica e lo scopri appena imbocchi le scale ti portano dal terminal dell’aeroporto Barajas alla metro), l’Italia è sempre stata diversa da come la percepiamo in casa.
Diversa perché è dentro l’Europa, quell’Europa che rispetto al resto del mondo è virtuosa da tempo e che oggi si lancia in un “green new deal” (certamente un bel segnale).
Italia diversa perché si impegna nel trasferire know-how e coopera con paesi in via di sviluppo, diversa perché un tempo era leader nelle rinnovabili.
Ancora più diversa oggi, a questa COP25 cilena a Madrid. In questa COP l’Italia è applaudita, presa ad esempio, ascoltata con attenzione, seguita negli eventi organizzati nel suo padiglione, dove parla la scienza, l’università, la ricerca, la cooperazione, la FAO, l’UNESCO, il CMCC e quella società civile impegnata da sempre sul cambiamento climatico e diritti umani.
Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Lorenzo Fioramonti, invitato dall’ONU a parlare del nostro primato nel mondo nell’introduzione dell’educazione allo sviluppo sostenibile e al cambiamento climatico, fa un figurone. Innanzitutto – e gli si deve, soprattutto se messo a confronto con tanti altri rappresentanti dei nostri governi passati e presenti – parla inglese perfettamente. E’ bravo, chiaro, sintetico, efficace – e anche questa è una virtù non proprio diffusa. John Kerry lo omaggia per ciò che sta facendo per l’educazione, l’istruzione, la ricerca, la formazione in linea con Agenda2030 e Accordo di Parigi, riceve vere ovazioni dai delegati di “alto livello” del mondo (high level significa coloro che possono prendere decisioni, come i ministri).
Sergio Costa, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, viene applaudito per l’impegno preso nel voler organizzare ed ospitare la Pre-COP26 nell’ottobre del 2020 (a Milano) e soprattutto la COP dei Giovani (idea sua, lanciata alla COP24 di Katowice lo scorso anno, una due giorni a ridosso della Pre-COP con i delegati di tutto il mondo), viene applaudito pure per risultati come quello di martedì (approvazione del Decreto Clima).
“Il crescente verificarsi di eventi estremi in Italia come in tutte aree del pianeta – dice il nostro Ministro durante la plenaria di ieri pomeriggio – dimostra che i cambiamenti climatici non fanno distinzioni geografiche, sociali, economiche. Italia è più che determinata a lavorare con l’Europa e tutti i partner internazionali per sostenere con forza imperativa la necessità di ridurre significativamente le emissioni globali”.
L’Italia non si vanta, e forse invece dovrebbe farlo, di avere tra le sue fila donne come Federica Fricano, capo dei negoziatori italiani, alta, bionda, tosta, indomabile eppure pronta al confronto, al dialogo, competente, tecnica e allo stesso tempo appassionata. E’ lei a condurre, per conto del governo italiano, le estenuanti trattative alla COP, sempre con il telefono in tasca, in contatto diretto con Costa, per procedere passo dopo passo, o retrocedere, se occorre, per ottenere un compromesso accettabile piuttosto che porte sbattute.
L’Italia qui a Madrid non può vantarsi di essere nella lista – resa nota oggi dalla presidente di COP25 Carolina Schmidt – dei 84 paesi che hanno già dichiarato di alzare le proprie ambizioni negli impegni (NDCs) da portare a COP26 e quelli che stanno lavorando per farlo. Vero che è una lista di parole e intenti e non di fatti, vero che non è una graduatoria con un significato tangibile. Ma l’Italia non c’è e ci restiamo male. Forse è perché sono ancora in corso valutazioni e studi di strategie per migliorare. O forse perché i nostri sono impegni già alti rispetto a quelli tanti altri paesi, come si fa capire dagli uffici italiani a Madrid. Tanto per dire, almeno sei paesi in Europa non raggiungeranno gli obiettivi al 2020, e noi si: abbiamo già superato quota 20% di rinnovabili nel mix energetico, mentre Francia, Olanda, Irlanda, Regno Unito, Lussemburgo e Polonia, invece, difficilmente raggiungeranno li raggiungeranno, secondo il report della Corte dei conti Ue di giugno scorso.
Visto da casa, non sembra possibile, ma qui a COP25, l’Italia può vantare di una legge che è – dice Costa – “la prima in Italia e tra le prime nel mondo” e di un Piano Energia e Clima che “intraprende chiaramente il percorso virtuoso della decarbonizzazione”. Piano che nel nostro Paese solleva non poche perplessità perché ritenuto poco ambizioso rispetto a quanto potrebbe fare l’Italia. E questo, tra la società civile e le organizzazioni italiane che da sempre seguono i lavori delle Conferenze ONU sul cambiamento climatico (oggi come Coalizione Clima hanno incontrato Costa per fare il punto della situazione anche in vista di COP26), viene ripetuto ancora una volta. Tant’è che a quell’Italia che è partner del Regno Unito nell’organizzazione della prossima importantissima COP, quella del 2020, si chiede parecchio…
Il Piano, come si è detto, è poco ambizioso, rispetto a ciò che potremmo fare. Ed è vero. Il problema è che nel resto del mondo le ambizioni a quanto pare sono di gran lunga più fiacche. Pensiamo forse che strategicamente non sia una buona mossa farsi carico di mancanze altrui, perché potrebbe invitare gli altri a sedersi a guardare? Oppure anche noi, per calcolo strategico, non vogliamo restare indietro in una partita economica che ancora non è decollata nel senso giusto, rischiando però in questo modo di restare ancora più indietro non solo economicamente ma in qualcosa di ben più prezioso?

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