altSe in Italia v’è ancora chi ha difficoltà o è restio nel riconoscere l’importanza che ricopre l’ambiente per la collettività. E sembrano ogni volta vani i numerosi tentativi, fatti anche dalla nostra testata, di affrontare la totale o quasi assenza di comunicazione scientifica-ambientale da parte dei grandi media. Dall’altra parte dell’ oceano arriva ancora una volta una lezione e a darla è una delle testate più famose ed autorevoli al mondo, il New York Times, da tempo sensibile alle tematiche ambientali,  che fa mea culpa, dopo aver deciso ad inizio anno di chiudere la rubrica ambiente.

Già quando è avvenuto il fatto, David Sassoon, ideatore di Inside Climate News, testata che per prima ha riportato la notizia, aveva espresso le sue perplessità, dicendo che sarebbe stato “un errore madornale eliminare i responsabili del settore ambientale dalla cabina di regia di un giornale, un errore che dovrebbe essere corretto il prima possibile”.  Il ridimensionamento ha coinvolto sette giornalisti, due coordinatori e diversi blogger. Mentre i primi nove sono stati riassorbiti dal quotidiano per gli altri l’unica possibilità è stata quella di percorrere in uno solo senso la porta d’uscita.

Anche se i manager hanno subito tenuto a precisare che non si è trattata di una decisione che è stata presa alla leggera, ma solamente di una faccenda organizzativa strutturale, non sono mancate le polemiche che sono piovute a goccia all’indomani del provvedimento preso. Per Dan Fagin, giornalista scientifico da tempo e docente di giornalismo ambientale alla New York University, la scelta della testata è stata “deludente”. “ Il New York Times- ha proseguito Fagin- ha troppa integrità editoriale per abbandonare completamente la sua copertura ambientale”. E’ proprio quest’ultima caratteristica e peculiarità a rendere il NYT differente rispetto agli altri giornali, come più volte affermato orgogliosamente da diversi dirigenti. “L’ambiente-ha ribadito Dean Baquet, uno dei responsabili-è un argomento troppo importante per lasciarlo scivolare così via”.

La rubrica ambiente, istituita nel 2009, è diventata storica, ottenendo nel corso del tempo diversi importanti riconoscimenti ed è pertanto considerata come fonte autorevole. Nel  periodo da aprile a settembre del 2012, prima della riorganizzazione interna, sono apparsi nella versione cartacea 362 articoli sull’ambiente. Nello stesso periodo del 2013 invece gli articoli sono stati 247. Questi dati e il crescente malcontento dei lettori per questa chiusura ha portato Margaret Sullivan, un’editorialista di punta del quotidiano, ad indagare, approfondendo maggiormente la questione ed è emerso che, oltre ad un’evidente diminuzione di copertura sulle tematiche ambientali, l’approfondimento di singoli argomenti, come il cambiamento climatico, il quale nel recente passato è stato oggetto di vanto per la testata, è sceso notevolmente.  Inoltre si legge nell’analisi di Sullivan il NYT ha perso diversi scoop ambientali che si sono così aggiudicati i concorrenti. Tutto ciò ha recentemente portato a rivedere le strategie finora intraprese perché “questo tema ha molti tentacoli e le questioni a riguardo che devono essere sviluppate sono molte” ha affermato Mary Ann Giordano che oltre alle sue tradizionali mansioni si è anche fatta carico di tentare di coordinare la copertura ambientale. “Se si può essere in disaccordo- tiene a precisare in conclusione dell’indagine Sullivan- su come si è proceduto, non ci può essere alcuna disputa sul ruolo che svolge il New York Times e sulla centralità dell’argomento”. La partita però è ancora aperta.

In Italia purtroppo quest’assunzione di consapevolezza sembra essere ancora lontana anni luce. Probabilmente se Cervantes fosse ancora vivo al posto di Don Chischiotte che combatte contro i mulini a vento avrebbe messo i giornalisti  e gli attivisti ambientali. La speranza è che la nuova Federazione Italiana dei Media Ambientali(FIMA), di cui si è recentemente votato il nuovo direttivo, possa far sentire la propria voce e testimoniare a pieno il proprio impegno nel comunicare l’ambiente, perché come ha ricordato Al Gore “i media dovrebbero fare dell’ambiente il 1° argomento che coprono”. 

“La preoccupazione ecologica è un
nuovo stato di coscienza, l’ultimo grado
del sistema aperto della consapevolezza…solo
il paradigma di un sistema aperto rappresenta
l’individualità vivente, nel senso
che vivere significa vivere in relazione con altri
individui e l’ambiente”. (JacqueEllul 1912-1994)

http://www.huffingtonpost.com/angel-hsu/does-the-environment-need_b_3568529.html

http://www.media-ecology.org/media_ecology/index.html

http://www.digicult.it/it/digimag/issue-004/italiano-mediaecology-tecnologie-in-ambiente-umano/

http://www.lastampa.it/2013/11/27/esteri/che-errore-chiudere-il-desk-ambiente-il-mea-culpa-del-new-york-times-E15HayQpkWUJPYAODY46rJ/pagina.html

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