rainewsPresentato a Roma il 27 novembre 2015 il 2° rapporto di Eco Media, l’osservatorio istituito da Pentapolis Onlus in collaborazione con l’Università Lumsa e l’Osservatorio di Pavia, sull’informazione ambientale in Italia. Questa volta sotto la lente degli analisti di Pavia sono finiti sette Tg in prima serata per 9 mesi, da gennaio a settembre. Qui l’abstract di 16 pagine di Eco Media, ossia una sintesi dell’indagine. Alla tavola rotonda per commentare il report, anche il direttore di Giornalistinellerba.it Paola Bolaffio. Qui sotto, la sua analisi.

Ambiente? Non va in tv

L’informazione ambientale non passa attraverso le televisioni. Non passa attraverso i giornalisti televisivi. Non è lì che dobbiamo cercarla. Non ancora, almeno. Neppure di striscio. E neppure nell’anno del più importante appuntamento mondiale sui cambiamenti climatici, quello che inizia il 30 a Parigi.

Al 10° posto…

L’Ambiente è al decimo posto nella classifica dei temi più trattati, secondo i rilevamenti di Eco Media. Ma consoliamoci: non è una scelta tutta italiana. Gli altri tre tg esteri esaminati (BCC, France 2, TVE La1) si comportano allo stesso modo: 10° posto anche loro. In termini quantitativi almeno, il dato percentuale è poco dissimile: 3,3% per Tg1, Tg2, Tg3, La7, Rete4, Canale5, Italia1, contro il 4,9% medio dei tg inglese, francese e spagnolo. Questo per quanto riguarda le notizie che sono incentrate sull’ambiente, mentre ci alziamo a circa il 6% medio per tutti, se si considerano nel conto anche le notizie che marginalmente parlano di questioni ambientali. L’ambiente è più marginale in Italia che all’estero, ma di poco, solo uno 0,6%. Peccato non avere in questo rapporto il dato relativo a Skytg24.

Quali notizie?

Predominano le questioni di Criminalità (21%) nel nostro paese (contro il 6% altrove). Cronaca nera, insomma, ma per il resto siamo allineati ai tg esteri esaminati. Dunque poca roba. Ma è giusto ragionare in questo modo? E’ giusto contare i titoli dedicati all’ambiente? 

Rimando la riflessione, continuo a guardare numeri. Ambiente. Ma in che senso? Quali sono le notizie “ambientali” che passano nei tg? Gli analisti di Eco Media hanno raggruppato i titoli in 5 macrocategorie (peccato che non ci sia una rilevazione specifica sul tema dei cambiamenti climatici, che sarebbe stata utile nell’anno di COP21 e che, almeno dall’abstract, non abbia potuto capire dove siano incasellate le notizie sui veleni, i casi Ilva, le ecomafie e gli ecoreati, che pure sono prodotto che procura fatturati da multinazionale).

Ecco le macroaree: Grandi eventi (il 38%) Meteo (il 30%), poi, circa al 10% ciascuno, Degrado/ inciviltà, Best practices e Natura. Questo in genere. Ma tra queste, meritano un titolo ambientale dedicato solo quelle di Natura (bei paesaggi, bellezze naturali, spiagge, vigneti, eremi, molti animali) e Best Practices. Ovvio, incidentalmente non passerebbero mai.

Il punto è un altro. Come sono trattate le notizie ambientali? Prendiamo la macroarea Meteo (non le previsioni del tempo, ma le piogge estive, i freddi “polari”, la calura): le questioni ambientali legate a questi eventi sono lasciate da una parte nel 71% dei casi: i fatti climatici non vengono collegati mai, ad esempio, ai cambiamenti climatici. Meglio parlare di aumento del consumo dei gelati, vendite di ombrelli… Stesso discorso per i grandi disastri: si piange sulle vittime, si intervistano i poveretti che hanno perso la casa, si torna e si ritorna sul caso disperato, la calamità imprevedibile, la disgrazia “naturale”. Mai una volta che si dica: ecco, questi eccessi “naturali” sono effetti del climate change. Difficile sperare che Luca Mercalli venga chiamato a spiegare come ci si è arrivati.

Invece, incredibilmente, persino nel paese del “governo ladro”, il governo, i governi, gli enti locali, non sono praticamente mai colpevoli: nella rilevazione dell’osservatorio, compaiono, nelle notizie trattate, come promotori di sviluppo per il 92,1%, persino uno 0,1% in più delle associazioni ambientaliste.

Come vengono date le notizie. 

Beh, le dà il giornalista ovviamente. Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, si tratta di un suo monologo. Qua e là compare qualche vittima a testimoniare sensazioni e disgrazie, o qualche rappresentante istituzionale. Solo nel 10% dei casi si intervista un “esperto”.

Il primato del giornalista “esperto”

Perché, si sa, l’esperto è appunto il giornalista televisivo medio… Sulla competenza dei colleghi televisivi generalisti vantiamo anche veri primati. Come quello raggiunto dalla giornalista Annalisa Chirico su La7 in prima serata il 7 novembre scorso, puntata di Otto e mezzo. Chiamata a testimonarci il suo sapere, Chirico ha dato il meglio di sé inanellando ben 13 stupidaggini sul tema del cambiamento climatico in soli 76 secondi. Al minuto 6.15 candidamente dice: “è segno di arretratezza pensare che la lotta al cambiamento climatico debba essere necessariamente il taglio delle emissioni di CO2”. Al minuto 10.36 offre un’altra perla: “Io ero a Parigi l’altro giorno, c’erano 20 gradi, ed ero molto contenta di stare in maniche corte”, concetto ribadito anche in un tweet con l’aggiunta di un “evviva il surriscaldamento globale”. Ha figli, Chirico?

Beh, il web l’ha massacrata. Ma non finisce qui. Subito dopo, la collega ci propone una lettura tutta personale delle conclusioni del mondo scientifico sul climate change sostenendo che alcuni climatologi dell’IPCC ritengono che è in corso una Grande Pausa, la temperatura della Terra si è fermata negli ultimi 18 anni. Il popolo di twitter si è ribellato e l’ha travolta di dati della Nasa, dei centri di ricerca, rilevazioni scientifiche e incontrovertibili. Ma probabilmente il fatto di non aver visto personalmente “alcun orso polare morire asfissiato dal caldo” le è sufficiente per sostenere in prima serata che è necessario utilizzare “modelli matematici diversi da quelli che ha usato Covatta”.

Genericità… ma le 5 W?

Pressappochismo, genericità, forse persino un po’ di ignoranza, si può capire (anch’io se dovessi scrivere di economia di punto in bianco, o anche di calcio, proporrei notevoli strafalcioni), sui temi scientifico-ambientali… ma neppure più la regola delle 5 W? Nel report ho letto che dell’8,2% delle notizie su Natura, del 13,3% delle notizie sulle Best Practices e persino del 2,2% delle notizie su degrado e inciviltà, ossia denunce, non è stato possibile determinare il dato geografico. Dove accade, insomma, la cosa di cui si sta parlando, non viene detto.

Lima: 2 freelance. Parigi: 6000 richieste di cui 3000 pending. Quanti italiani?

Mi ripeto, lo so e mi scuso, ma è un peccato che l’analisi non abbia potuto prolungare le rilevazioni fino ad oggi e non abbia osservato in particolare il tema del climate change. Sarebbe stato interessante rilevare l’atteggiamento riguardo all’argomento madre in vista di COP21.

Stavolta l’attenzione dei media è alta, almeno nel resto del mondo. Rispetto all’ultima COP, quella di LIMA, alla quale erano presenti, in rappresentanza dei media italiani, solo due freelance, ci auguriamo che vada in modo diverso. Non solo perché Parigi è più vicina, non solo perché è nell’occhio del ciclone dei media dopo il 13 novembre. Certo è che di giornalisti ce ne saranno come mai. L’ufficio accrediti di COP21, venerdì scorso, ha mandato un’email a tutti gli accreditati e i “pending” per avvertirli che forse avrebbero dovuto rinunciare a qualche inviato. Infatti, “cosa mai accaduta prima”, il numero delle richieste è stato doppio rispetto al numero massimo previsto per capienza e sicurezza. Quasi 6000, invece dei 3000 previsti. Quindi, anche se scusandosi, gli organizzatori hanno dovuto cancellare gli ok a chi aveva più di un tot di inviati così da fare spazio a qualche altra testata e garantire una pluralità maggiore dell’informazione.

Un tg al giorno… L’ambiente gioca le sue carte sul web.

Un telegiornale al giorno, a meno di fatti eccezionali. Questa è la mia dose di informazione televisiva quotidiana. Il resto, tutto sul web. E sul web la situazione è tutta un’altra. La vera partita dell’ambiente si gioca online. Lì, nel giro di mezz’ora, l’altro ieri, l’hashtag #marciaperilclima è arrivato in testa alla classifica italiana. Sui social network si dibatte e, oltre alle bufale volanti, che però non mancano neppure in tv, si approfondisce, ci si scambia link a inchieste, grafici, dati, ricerche. Ci si confronta e ci si scontra, ma non vince solo la capacità retorica. E’ dal 31 agosto, ad esempio, che le 89 persone taggate aggiungono tasselli ad una discussione aperta su facebook da Jacopo Giliberto con un post su “il nuovo ambientalismo reazionario”. Una miniera di spunti, di scontri aperti, di botte e risposte a suon di documenti. Enciclopedie e biblioteche globali intere sul climate change, soprattutto da giugno ad oggi, ovviamente.

2009 Copenhagen, I lettori sono stati informati e sensibilizzati?

Sarebbe stata davvero interessante un’osservazione di questi ultimi sei mesi del 2015 rispetto, ad esempio, ai sei mesi del 2009 intorno a COP15 Copenhagen, quando Observa ha registrato un calo notevole della sensibilità degli italiani sul tema clima: rispetto al 2007, i cittadini convinti che il clima stesse effettivamente cambiando erano diminuiti dal 90% al 71%.

2012: Climate change nel mondo è al 3%

Se si guarda la situazione nel 2012, anche nel resto del mondo si parla poco di clima. Il rapporto Media Matters sui media americani rileva che solo il 3% delle notizie riguarda il climate change, di cui l’1,6% è segmento televisivo e il resto, articoli.

2004-2013, il riassunto di IceCaPs

L’università del Colorado conduce un osservatorio permanente che costantemente e in modo dettagliato ed aggiornato informa sul portale Ice CaPs dei rilevamenti sulle coperture mediatiche di vari temi, compreso il climate change, nel mondo. I dati riassuntivi dal 2004 al 2013 dicono che tutto sommato i media europei sono quelli che si sono comportati meglio. Nel dettaglio, poi, si scopre che buona parte del merito è del Guardian.

2013, una riflessione

Il 2013, però, è l’anno in cui si registra un flusso in attivo delle informazioni sul clima, con un balzo in avanti nella copertura europea rispetto al 2012. Non altrettanto si può dire del resto del media mondiali. E’ l’anno in cui Obama annuncia il suo Climate Action Plan, l’anno del supertifone Haiyan sulle Filippine, l’anno in cui abbiamo superato le 400 ppm di CO2 in atmosfera. E’ un anno chiave, per chi osserva l’andamento dell’informazione ambientale legata agli aspetti climatici.

E qui riprendo un attimo la riflessione che avevo rimandato. E’ nel 2013 che ci si comincia a porre un quesito sulla trattazione delle notizie ambientali: è corretto isolarle dal resto delle notizie, farne, quindi, un’area specialistica, o comunque, una parrocchia a parte?

Nel 2013 il New York Times, uno dei quotidiani americani che meglio segue da anni l’ambiente, ha chiuso il desk dedicato e ha riassorbito nelle altre redazioni i redattori che ci lavoravano in modo esclusivo. Per alcuni è stata una decisione perdente, per altri un segnale positivo: “l’ambiente non è più in una bolla chiusa, ma comincia a passare attraverso tutti gli argomenti, connesso com’è con tantissimi fatti che accadono”, aveva detto persino David Sassoon, editore di Inside Climate News, salvo poi fare marcia indietro pochi mesi dopo e dichiarare, numero di articoli pubblicati inferiore alla mano, che è stato uno dei più grandi errori del quotidiano. Oggi il New York Times ha online una sezione scienza che all’interno si suddivide in due parti, una per Spazio/Cosmo e una per l’Ambiente.

Nel 2013 sono nati nel mondo molti giornalisti online che accendono l’attenzione sulle questioni ambientali. Ma i media tradizionali restano indietro.

ice capsThe Guardian è un faro. 

Negli Usa continua dal 2014 a oggi a primeggiare il New York Times, nonostante la diminuzione del numero di articoli totali dedicati all’ambiente. In Europa il vero balzo lo ha fatto The Guardian che schizza in alto nei grafici e diventa faro per l’informazione ambientale nel vecchio mondo.


E arriviamo al 2015
. Da ottobre, The Guardian distacca l’Independent, il Telegraph, il Daily Mirror, il Times di 50/100 lunghezze, secondo le rilevazioni dell’Ecoresearch Media Watch on Climate Change, valido progetto dell’università di Vienna e l’ICE CaPs di quella del Colorado.

E’ l’anno decisivo, l’anno appunto, di COP21. Il tema dei temi sull’ambiente. Che accade a casa nostra? La Rai (Rai3) azzarda e manda in onda Scala Mercalli in prima serata. Dalla Rai un buon esempio di cosa debba essere il servizio pubblico, titola Roberto Giovannini sulle pagine Tuttogreen de La Stampa.

E’ un successo. Il 28 febbraio si registra uno share del 4,97%, 1 milione e 145 mila telespettatori sintonizzati. Alla seconda puntata lo share sale al 5,33% (un milione e 209 mila spettatori), Sei puntante, ogni sabato alle 21,30. Certo, i tg hanno altri ascolti, dal 4,25% del tg La7 al 27% del tg1, con una media di circa l’11,7% ciascuno. Ma è un grandioso risultato, se si pensa che fino a questo momento c’era il vuoto pneumatico. Lo share comincia a calare, ma molto poco in effetti, nelle ultime puntate (fino al 4,36%) e questo basta per non proseguire.

A ridosso di COP21 Legambiente incarica Lorien Consulting di fare un sondaggio. Si vuol capire cosa ne sanno gli italiani dell’appuntamento di Parigi e delle conseguenze sull’umanità. Il risultato è sconfortante, anche se tutt’altro che sorprendente. Solo il 29% degli italiani sa cosa sia Cop 21, anche se, paradossalmente, il 72% degli intervistati ha fiducia che possa essere efficace nei confronti delle politiche ambientali dei governi e il 70% considera che possa avere un impatto positivo sui comportamenti degli individui. Come possono dirlo se non sanno neppure cosa sia?

E ancora: i cambiamenti climatici sono al 4° posto tra le minacce per l’ambiente, dopo l’inquinamento atmosferico (77%), l’inquinamento industriale di acque, terreni e aria (59%) e la gestione inefficiente dei rifiuti (55%).

Sconfortante, dicevamo. Così come per me è sconfortante il dato emerso da uno studio commissionato a Epistene dalle compagnie assicuratrici riunite ad ottobre ad Expo per l’AXA Forum italiano. L’indagine conferma che il 71% degli italiani si sente esposto quotidianamente a rischi emergenti. Per le assicurazioni, però, quel 22,6% di possibili clienti preoccupati per i fenomeni naturali estremi, quel 10,7% di persone in ansia per possibili disastri ambientali causati dall’antropizzazione e quel 6,8% di italiani che temono gli effetti del cambiamento climatico sono numeri “interessanti” su cui lavorare.

Sul fronte media, è di pochi giorni fa la pubblicazione di uno strumento molto ben fatto, chiaro, pulito, efficace per informare in modo sintetico su climate change e COP21. Un web doc che consiglio di vedere. E’ di Rainews.it, appunto, ed è un webdoc.

 

Multinazionali e imprese cattive. Chiacchiere da bar…

Per concludere, un altro aspetto che ho trovato interessante nel report di Eco Media è quello che riguarda gli stakeholder. Piuttosto scontato che la gente comune sia presentata nella totalità delle notizie come vittima: sono i telespettatori, e di fatto anche vittime nella maggioranza dei casi. Invece è interessante, come dicevo, scoprire che nei servizi dei tg i governi, nazionali come locali, siano raccontati come promotori di sviluppo il 92,1% delle volte che vengono nominati in notizie che in qualche modo riguardano l’ambiente, mentre solo nel 7,9% dei titoli sono dipinti come responsabili/colpevoli.

Chi sono i colpevoli, per i tg? Gli stessi del bar. Calamità naturale, sfiga nera, ma soprattutto multinazionali (nel 98% delle volte in cui si citano nelle vicende dell’ambiente). Sempre cattive. Così come spesso sono cattive le imprese, ma mai e poi mai gli agricoltori, che sono sempre e solo vittime. E’ davvero così? E la caccia, l’inchiesta, il mestiere del giornalista, insomma, che fine ha fatto?
Tirano le somme, quindi, i tg parlano poco di ambiente. Certo, se dovessero occuparsene come hanno fatto nel 2009, quando gli italiani che credevano anche solo all’esistenza reale dei cambiamenti climatici sono scesi del 20%, forse sarebbe meglio non insistere. Meglio tenersi quel 10° posto zitti e buoni e lasciare ai colleghi del web il compito di informare.

2° Rapporto Ecomedia: nei TG calamità e poche best practice from ISPRA TV on Vimeo.

Servizio realizzato da ISPRA TV

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giornalista professionista, è direttore responsabile di Giornalisti nell'Erba, componente dell'ufficio di presidenza FIMA (Federazione Italiana Media Ambientali) e membro Comitato Scientifico per CNES UNESCO Agenda 2030. Presidente de Il Refuso a.p.s.. In precedenza ha lavorato come giudiziarista per Paese Sera, La Gazzetta e L'Indipendente. Insieme a Gaetano Savatteri ha scritto Premiata ditta servizi segreti (Arbor, 1994). Collabora con La Stampa.

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