Roma. 7 ottobre 2014 – Renzi giura all’ONU sull’impegno italiano per l’ambiente e il clima? Renzi che promette una politica di decarbonizzazione? Azzerate tutto. Quello che avete sentito ai tg del 23 settembre in diretta da New York era fuffa. Date un’occhiata al decreto “Sblocca Italia”, varato dieci giorni prima: trivellazioni, inceneritori, privatizzazione dell’acqua, cemento facile, è questo il piano renziano per sboccarel’ex Bel Paese. La rivolta è cominciata. La rete dei comitati, delle associazioni, dei semplici cittadini, i coordinamenti, i forum, i movimenti sono mobilitati in una campagna contro il decreto (sotto, un primo elenco gli aderenti ad oggi).
Un decreto che prevede forzature “strategiche” in modo da consentire l’estrazione di quel poco petrolio che abbiamo, invece di spingere sulle rinnovabili. E’ il Ministero dello Sviluppo Economico a dirci quant’è l’oro nero nel nostro Paese: 10 milioni di tonnellate di riserve certe sottomarine, una quantità che, secondo stime di Legambiente, potrebbe coprire il fabbisogno nazionale per sole 8 settimane, più le riserve del sottosuolo, in Basilicata, sufficienti per 13 mesi al massimo. Il rischio ambientale, per così poca autonomia, è enorme ed esteso: “n totale oggi le aree richieste o già interessate dalle attività di ricerca di petrolio si estendono per circa 29.209,6 kmq di aree marine, 5000 kmq in più rispetto allo scorso anno. Attività che vanno a mettere a rischio il bacino del Mediterraneo dove si concentra più del 25% di tutto il traffico petrolifero marittimo mondiale provocando un inquinamento da idrocarburi che non ha paragoni al mondo” (Legambiente).
Credevate forse ad un governo pro-differenziata? A parole, certamente, ma nei fatti, o meglio grazie al decreto, conviene di più investire in inceneritori, gestiti da società partecipate con l’aiuto dello Stato. I rifiuti italiani “viaggeranno da nord a sud e saranno smaltiti non solo negli inceneritori già attivi, ma anche in impianti nuovi che saranno realizzati nei prossimi anni”, scrive Il Fatto Quotidiano. E ancora: “si prevede persino la costruzione di nuovi impianti “di termotrattamento”, che nel documento vengono definiti “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale”. Il testo è in fase di lavorazione e il punto in questione, come risulta dalla bozza, è ancora da valutare, ma le intenzioni sembrano essere quelle di ampliare la rete esistente di inceneritori. Compito del governo sarà quello di individuare tutti gli impianti (sia quelli esistenti che da realizzare) per creare un sistema integrato di gestione rifiuti per portare l’Italia all’autosufficienza nel settore, favorendo al contempo la raccolta differenziata e dismettendo progressivamente le discariche”. La proposta di una rete nazionale integrata degli inceneritori era già stata inserita nel Patto di Stabilità ed aveva creato malumore in regioni come l’Emilia Romagna, la Lombardia e la Toscana, dove già ne hanno abbastanza, vogliono dismetterne qualcuno e rischiano invece di vedersi costretti a continuare a pieno regime.
Per quanto riguarda l’acqua, il grido d’allarme è del Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua pubblica, secondo cui “quelle norme, celandosi dietro la foglia di fico della mitigazione del dissesto idrogeologico (Capo III, art. 7), mirano di fatto alla privatizzazione del servizio idrico. Infatti, con questo decreto si modifica profondamente la disciplina riguardante la gestione del bene acqua arrivando ad imporre un unico gestore in ciascun ambito territoriale e individuando, sostanzialmente, nelle grandi aziende e multiutilities, di cui diverse già quotate in borsa, i poli aggregativi”.
Nulla di buono neppure sul fronte edilizio, o meglio buono solo per i costruttori. “Con lo Sblocca Italia via libera alla cementificazione del demanio”, urla Angelo Bonelli dei Verdi, mentre Salvatore Settis su Repubblica smonta uno per uno gli articoli sul rilancio dell’economia edile: “La ricetta da Lupi per “sbloccare l’Italia” è una selvaggia deregulation che capovolge la gerarchia costituzionale fra pubblico interesse e profitto privato, e imbavagliando le Soprintendenze impone agli organi di tutela la santa ubbidienza alle imprese di costruzione”, è la sentenza.
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