Il convegno “A dialogue on the Transatlantic Trade and Investment Partnership” tenutosi a Palazzo Colonna, Roma, il 14 ottobre 2014, ha visto la partecipazione di importanti personaggi politici, esperti di economia, rappresentanti di sindacati, industria e commercio italiani, europei e americani: Carlo Calenda, Vice Ministro allo Sviluppo Economico, Peter H. Chase, vice presidente della Camera di Commercio USA, Emma Marcegaglia presidente della Business Europe Association, Jeffrey J. Schott del Peterson Institute for International Economics, Bernadette Ségol, Segretario Generale ETUC, Giorgio Squinzi, Presidente Confindustria, Karel De Gucht, Commissario al Commercio dell’UE e Michael Froman, Rappresentante del Commercio degli USA.
Si è discusso molto dei pregi e poco degli aspetti negativi del Partneriato USA-UE, ovvero un trattato che ha l’obiettivo di rimuovere le barriere dei regolamenti che limitano il commercio tra i due paesi.
Ha aperto i lavori Il primo ministro italiano Renzi dichiarando che il trattato ha “l’appoggio totale ed incondizionato del governo italiano” e si è lamentato del ritardo nell’attuazione del TTIP dovuto forse anche a un ingiustificato clima di sospetto sviluppatosi intorno al trattato stesso. Questa delusione è stata condivisa da quasi tutti gli ospiti ad eccezione di Ségal, segretario generale ETUC.
Il ministro Calenda si è lamentato delle paure, che ha definito irrazionali, suscitate dal trattato che, secondo lui, è un buon affare per entrambi i continenti, contribuirà ad integrare le economie nazionali e riaffermerà i valori del liberismo economico. I benefici del trattato per le PMI sono stati descritti da Marcegaglia e Froman. Chase ha dichiarato che la mancata ratifica del trattato sarà dannosa sia gli USA che per l’UE e Schott ha sostenuto che eventuali possibili disagi dovuti ai cambiamenti possono essere ridotti da interventi dei singoli governi. L’unica voce fuori dal coro è stata quella di Bernardette Ségal che ha apertamente espresso la sua condanna di molti aspetti del TTIP soprattutto la clausola ISDS (Investor to State Dispute Settlement) che consente a qualunque azienda di denunciare gli stati se questi ultimi emanano leggi che ostacolano i profitti dell’azienda stessa. Gli effetti della clausola ISDS sono stati sperimentati dal Canada, multata dalla Eli Lilly, dall’Australia, multata dalla Philip Morris, e recentemente dal piccolo villaggio di Ristigouche in Québec che, per essersi rifiutato di far inquinare la proprie falde acquifere con trivellazioni, si è visto chiedere un indennizzo di circa un milione di euro per mancati guadagni da parte della Gastem. La clausola ISDS è stata difesa fortemente sia da Mercegaglia che da De Gucht che la ritengono una tutela giusta ed ineliminabile per la sopravvivenza di imprese che investono all’estero in base al trattato.
Il Ministro Calenda, durante la mia intervista, ha accolto la mia obiezione che la pubblicazione del trattato non ha portato elementi di conoscenza nuovi, perché il suo contenuto era già in internet, ma ha sottolineato come tale pubblicazione renda ora possibile un confronto con i cittadini. Il Ministro ha tenuto a precisare che nel mandato sono indicati come non negoziabili i settori pubblici, per esempio scuola e sanità, e che, in merito alla clausola di tutela degli investimenti “è contrario a una clausola ISDS ampia perché la ritiene pericolosa” ma comunque utile per evitare una discriminazione tra investitori locali e esteri.
Nella sua intervista, la Ségal ha spiegato la sua condanna del principio ISDS, dovuta all’inutilità dello stesso principio per l’impresa che può proteggere i propri investimenti in altro modo – ad esempio con assicurazioni – alla sua pericolosità per le regole democratiche e al vantaggio che offrirebbe alle imprese straniere rispetto a quelle locali.
Squinzi ha ribattuto alla mia domanda sulla possibilità che TTIP favorisca di più l’economia americana basata sulle multinazionali che le nostre PMI dichiarando che “la struttura industriale degli Stati Uniti non è molto diversa da quella dell’Europa” ed anche negli USA ci sono molte PMI quindi l ‘accordo non può che portare vantaggi anche perché le PMI sapranno sicuramente adattarsi al cambiamento.
A Schott ho chiesto se il TTIP, che mira ad aumentare la produzione industriale e il consumo, non sia pericoloso per il clima vista la relazione dell’ICCP (http://www.ipcc.ch/), la quale prevede aumento minimo di 2°C della temperatura globale solo a fronte di una riduzione sostanziale di CO2: Schott ritiene che, sebbene il problema dell’effetto serra sia centrale e vada affrontato subito, più che puntare verso una limitazione della crescita occorre trovare tecnologie verdi che la permettano.
Gli interessi economici in gioco sono tanti, però non è ancora ben chiaro quanto i benefici del TTIP saranno estesi e chi ne usufruirà: occorre fare chiarezza, solo quando sarà pubblico il documento con i contenuti dell’accordo sarà possibile capire quali siano i suoi rischi ed i vantaggi reali.
Eric Barbizzi
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