Era il 1992 e al Festivalbar Mango cantava “Mediterraneo”. Quello raccontato dal cantautore lucano era un Mediterraneo bianco e azzurro da scoprire.
A distanza di 27 anni, alla COP25 di Madrid, quel Mediterraneo bianco e azzurro è invece da salvare.
La COP madrilena è la stata la prima COP che segue la pubblicazione di un pre-rapporto elaborato da 600 scienziati dell’area mediterranea, sulla situazione del clima nel mediterraneo che si presenta diversa da tutte le altre.
E’ ormai condiviso a livello mondiale che il clima è un problema comune ma la zona del mediterraneo si riscalda del 20% in più rispetto alla media globale, seconda solo all’Artico.
Previsioni poco confortanti dipingono scenari preoccupanti: nel giro di pochi anni ci potrebbe essere la possibilità che 250 milioni di persone vivano in condizioni di insicurezza idrica, 5 metropoli su 10 più esposte all’innalzamento dei mari si trovano nel Mediterraneo.
A porre i rischi dell’area mediterranea sotto la lente d’ingrandimento qui alla COP25 di Madrid è la UfM (Union for the Mediterranean), organizzazione intergovernativa di 43 stati membri dell’Europa e del bacino del Mediterraneo: i 28 Stati membri dell’UE e 15 paesi partner del Mediterraneo dal Nord Africa , Asia occidentale e Europa meridionale.
A parlare ai nostri microfoni è stato Grammenos Mastrojeni, Vice Segretario Generale – Energy & Climate Action della UfM.
“L’innalzamento dei mari previsto potrebbe essere fino a 20 cm in pochi decenni. Questo è un vero problema perché crea dei gravi danni all’agricoltura. Ad esempio, se un innalzamento del mare di 20 centimetri comporta la salinizzazione del delta del Nilo, l’agricoltura di un paese con 100 milioni di abitanti come l’Egitto viene messa seriamente a rischio”.
Avendo individuato un interesse comune di tutti i Paesi dell’area mediterranea e sulla base del rapporto stilato dagli scienziati, alla COP si è svolta la prima riunione per individuare le azioni comuni. “La buona notizia – dice Mastrojeni – è che tutti sono d’accordo. Quello che dobbiamo fare per far fronte a questa situazione è svilupparci assieme in maniera giusta e sostenibile”.
A tutto questo si aggiunge un’altra notizia proveniente dall’Europa: il Green New Deal presentato mercoledì a Strasburgo da Ursula Von Der Layen.
“Non è solo l’Europa per l’Europa – conclude il Vice Segretario Generale del UfM – ma ne emerge una fortissima politica di vicinato che si riflette anche sul Mediterraneo. Sono vari gli aspetti previsti ma c’è una frase che è centrale e dice che l’Unione Europea utilizzerà le sue risorse finanziare, tecnologiche e di capacità anche per portare sulla strada della decarbonizzazione e della sostenibilità i paesi che sono in relazione con lei ed è una buona notizia per il Mediterraneo”.

Alla COP si è parlato anche dell’effetto “Mediteranization” che indica lo spostamento del clima mediterraneo dall’attuale area, che è quella del bacino del Mediterraneo, ad un’area dell’Europa che guarda verso nord e si sta riscaldando.
Di come il cambiamento climatico ha effetti sull’area mediterranea ha parlato Alberto Sanz Cobeña – Universidad Politecnica de Madrid.
“La zona del Mediterraneo è un punto caldo in termini di biodiversità, popolazione, cultura, produzione del cibo – ha detto Cobeña -. Il cambiamento climatico sta già producendo effetti sulla produzione agricola e gli effetti saranno ancora più grandi nel prossimo futuro. Anche la pesca ne risentirà. I pesci stanno diventando più piccoli e sta diminuendo anche la quantità di pesce nel nostro mare. Il riscaldamento del bacino del Mediterraneo sta avendo un impatto sulla produzione di cibo, salinizzazione, scarsità d’acqua ed effetti anche sulla popolazione. Pensiamo per esempio alle migrazioni ambientali. Ci sono già adesso aree del mediterraneo che soffrono problemi di natura economica e politica”.
Quando l’effetto “Mediterranization” cambierà il volto dell’Europa non è certo, l’unica certezza è che questo cambiamento ci sarà e non sarà lontano.

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