Pensate alla vastità della regione Emilia Romagna, adesso riempitela tutta di cemento, poi trasferite tutte le colate sull’Appennino: ecco come è cambiato il territorio nel Centro Italia negli ultimi cinquant’anni. Più 2.200 chilometri quadrati di mattone, è questa la fotografia grigia che ci consegna il gruppo di ricerca dell’Università dell’Aquila (Romano, Zullo, Marucci, Fiorini, Ciabò) in collaborazione col WWF nello studio Il consumo del suolo e rischio sismico sulla dorsale appennina. Le superfici urbanizzate sono quasi quattro volte tanto quelle che erano agli inizi del Dopoguerra. Quell’Italia fragile, quell’Italia che trema è anche l’Italia incastrata nella faglia della mentalità del mattone: incensata come unico motore dello sviluppo economico.
IL MATTONE: STORIA DI UN PARADOSSO
Il report analizza tutta la spina dorsale dello Stivale. La zona nord dell’Appennino che comprende i comuni del Piemonte, della Liguria e della Lombardia, ha una pericolosità sismica sostanzialmente bassa, ma è anche quella che non ha subito grandi colate: 190 kmq in 50 anni. Desta, invece, grande stupore che proprio il cuore dell’Appennino (Umbria, Abruzzo, Marche Lazio e Campania) e la parte sud calabro-lucana – teatro dei terremoti più forti degli ultimi decenni – siano anche i territori sempre più investiti dalle betoniere.
Il paradosso – più propriamente chiamiamola malattia di edilizia compulsiva, svincolata dai bisogni reali – è che le aree in questione negli anni si sono progressivamente spopolate.
Gli scienziati mettono sotto lente di ingrandimento la Zona 1 e la Zona 2, vale a dire le aree definite più sismiche secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nella prima si trovano oltre 650 comuni e si è passati – ragionando in kmq – da 213 a 964: c’è stato un aumento in termini assoluti di 750, con un ritmo medio di 4 ettari al giorno. Nella seconda, invece, da 465 si è saliti a 1.818: ben 1.353 kmq in più e ad una velocità vicina a 7 ettari al dì. Peccato però che secondo i più recenti dati ISTAT (2011) sono 8 milioni gli abitanti che attualmente risiedono nei comuni delle prime due classi di zona sismica, 41.000 abitanti in più rispetto a quanto rilevato nel decennio precedente, ma ben 560.000 abitanti in meno rispetto al censimento del 1951. Scendendo nel dettaglio nella zona 1 tra il 1946 ed il 2001 sono stati realizzati quasi 550.000 edifici (10.000 nuovi ogni anno, 28 ogni giorno) mentre la popolazione è scesa di oltre 370.000 abitanti. In zona 2 nello stesso periodo ne sono stati costruiti quasi un milione (18.000 ogni anno, 50 al giorno) mentre la popolazione è diminuita di 235.000. C’è nel nostro paese un vero allarme per il consumo di suolo, come ha denunciato ad Expo – tenendo in mano da una parte microfono e dall’altra una cazzuola – Elena Granata, docente del Politecnico di Milano .
SMEMORATI, COSTRUIAMO TROPPO E MALE
Perché feriamo proprio i territori che sono già instabili? “Sembra quasi che le amministrazioni, a tutti i livelli, si siano dimenticate del fatto che lì esiste un pericolo“ incalza Bernardino Romano, professore dell’Aquila. Alla stessa conclusione giunge lo scrittore ed editorialista Antonio Scurati: “In che modo un’esistenza condotta quotidianamente con nelle orecchie il ronzio sinistro di sciami sismici modula la psicologia di una nazione? Un tempo lo sapevamo e adesso abbiamo smesso di chiedercelo – e prosegue – siamo il Paese del fragile benessere, non quello della grande bellezza (quella va bene per la notte degli Oscar). Viviamo sotto il vulcano. Da sempre e, forse, per sempre. Un meraviglioso vulcano, spruzzato di neve in inverno e splendente di ginestre in estate. Per questo ce ne dimentichiamo. Questa penisola snella, agile, lunga e stretta, protesa come un dito puntato su di un mare antico, questo paesaggio rinfrescato da decine di salubri brezze, variegato di pianure, colli, coste e montagne, è terra di terremoti. Questo popolo di poeti, santi, navigatori, cantanti e chef stellati è capace di coltivarla con una mano, ricca di sapienza artigiana nella bellezza di orti e di borghi, e con l’altra di abbandonarla all’incuria di decadenza e crolli“. “È un patrimonio vetusto e non controllato. Malte scadenti, cemento armato, progetti inadeguati. C’è una incapacità tutta italiana di imparare da secoli di catastrofi: in un Paese a rischio (Usa, Giappone) dopo un po’ si cambia rotta. Da noi neanche dopo le tragedie. Alle regole più rigide seguono maggiori deroghe” si sfoga il geologo Mario Tozzi.
LA FRAGILITÀ È ANCHE LA NOSTRA FORZA
“Ma la variegata mappa della pericolosità sismica, è anche all’origine della nostra parte migliore: la nostra preferenza per la speranza comica piuttosto che per la disperazione tragica, il nostro genio per il melodramma […] la nostra esperienza che ci consente di incontrare gli altri, di adattarci alle situazioni, di «inventarci la vita», la nostra rara e preziosa capacità di empatia, di solidarizzare con il prossimo. E’ la somma delle virtù che, di fronte al sisma, ci spinge a pensare: è toccato a te ma sarebbe potuto toccare a me”, questa è l’incoraggiante chiave di lettura di Scurati.
Insomma guardiamo al bene che siamo e rimbocchiamoci subito le maniche. La tutela del nostro territorio non può attendere.
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