Che cosa si vede a Milano? Uno sguardo sulla mostra “Dentro Caravaggio” allestita a Palazzo Reale fino al 28 gennaio 2018 e curata da Rossella Vodret.
In principio fu Giotto. Ineguagliabile, tutti scrissero con il suo alfabeto. Finché fu la volta di un linguaggio nuovo, universale, Michelangelo e Raffaello. Si toccò il cielo. Non esisteva più il prima perché il dopo faceva i conti con quell’altezza. E ognuno “alla sua maniera” – con bagliori di originalità – in Italia e in Europa, dipingeva con gli occhi pieni delle stanze di Trastevere.
Ma nella storia ci fu un “secondo finché”. E fu la luce che bruscamente illuminò il buio, squarciò la tela vecchia per consegnarci novità. A Milano, in prestito dai musei di tutto il mondo sono riunite 20 sue opere.
NATURALISMO E TEATRO
Cantore del sacro ma dal naturalismo estremo. Ne sono esempi in mostra la “Maddalena penitente” abbigliata alla seicentesca, in una folgorante empatia con lo spettatore e “Riposo durante la fuga in Egitto”, in cui la fuga diventa romana privilegiando alle palme una locale campagna di quercioli. Né al “San Giovanni Battista” di Galleria Corsini, né al “San Girolamo penitente” del Museu de Montserrat servono attributi iconografici. Via l’agnello e il leone: nessuna distrazione dalla scena.
La scena adesso si fa vera. Come veri sono i chiaroscuri, le rughe in “Ritratto di Cavaliere di Malta”, le unghie nere della zingara o i piedi sudici dei pellegrini. Ma la scena è al contempo teatrale, come la” Madonna di Loreto” della cappella Cavalletti che dal suo gradino sembra aprire il sipario o i personaggi a mezzo busto che sporgono dal quadro come in “Salomè con la testa del Battista” in prestito dalla National Gallery.
LUCE IN RIVOLUZIONE
La luce non è più universale ma illumina l’azione. La luce è doppia, naturale e spirituale, abbaglia nella notte “San Francesco in estasi” del Wadsworth Atheneum, in cui un angelo apollineo allenta il cordone alla vita del poverello di Assisi per alleggerirgli il dolore. Illumina i giusti: il macilento San Girolamo, come a dargli la forza divina a ricompensa del suo digiuno o “Giuditta che taglia la testa a Oloferne”, la vedova personifica sia la salvezza di Dio verso il popolo ebraico sia il ruolo salvifico della Chiesa.
La luce è anche il riflettore sulle mani e gli sguardi della “Buona Ventura” della Pinacoteca Capitolina. La zingara ammicca maliziosa sottraendo l’anello al giovane dal cappello piumato: è l’inganno, il gioco dei sensi tra uomo e donna, da Eva al barocco, ai giorni nostri. E sullo sfondo neutro, la luce risalta la reazione psicofisica del “Ragazzo morso da un ramarro” della Fondazione Longhi. È un’indagine scientifica quella tra emozione ed espressione del volto, cominciata già con Leonardo.
PENTIMENTO, TRA PITTURA E VITA
Il pentimento è un tema che ricorre nelle tele. È il tempo della Controriforma e i cattolici lo dipingono per rispondere a Lutero. Ma la pennellata scivola parallela alla vita del pittore, tanto che il pentimento dei soggetti diventa autobiografico. È amato dal pubblico ma anche additato come squilibrato, ricorda il biografo settecentesco Susinno. Si muove tra ansia e aggressività e a dormire porta sempre con sé un pugnale. È il pittore che – anticipando il poeta maledetto – tra risse, un omicidio accidentale e quadri sublimi è alla ricerca di misericordia. Così cede i suoi lineamenti al “San Francesco in meditazione” del Museo civico di Cremona e prima di morire consegna se stesso nel “Davide e Golia” della Galleria Borghese (non in mostra): la testa del gigante che penzola tra le mani del giovane è la sua. È esausto, non vuole più fuggire. Si pensa che il destinatario del quadro fosse Papa Paolo V: un tentativo per chiedere al pontefice la revoca della condanna a morte. Ma la morte in circostanze misteriose arrivò prima, a Porto Ercole.
Quest’uomo che compì tutti questi miracoli si chiamava Michelangelo Merisi da Caravaggio.
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