Intervista a Donato Boscia responsabile dell’Istituto per la protezione Sostenibile delle Piante del Cnr di Bari. Sostenitore dei reimpianti di ulivo, accusa l’Europa di non richiedere analisi alle frontiere. Boscia assieme ad altri 10 big fa parte del gruppo di esperti per gestire l’emergenza xylella. Tutti questi dirigenti e scienziati sono indagati dalla procura di Lecce per “diffusione colposa della malattia”.
“Olive che seccano, batteri che arrivano, piccoli insetti che saltano: Xylella story” è il titolo di uno dei panel del Festival della Scienza di Genova. Occasione per fare il punto sulla triste vicenda che ha calpestato il tacco d’Italia, il Salento, minacciando il suo paesaggio, le sue distese di ulivi, sentinelle che hanno resistito per molti secoli, cotti dal Sole del mezzogiorno e rinfrescati dalla brezza mediterranea, ma che di fronte ad un piccolo batterio stanno perdendo la sfida.
Xylella fastidiosa è stata segnalata per la prima volta nell’autunno 2013 e oggi ci consegna una campagna spettrale. Alla xylella, dicono gli esperti, dovremo abituarci: la Puglia sta preparando la sua fase di convivenza, “sperando che l’espansione cessi” precisa Donato Boscia, fitopatologo dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (IPSP) del Cnr di Bari. Ma cosa significa convivere con un batterio che sta trasformando la terra degli ulivi in un cimitero di tronchi?
CHE COSA SI PUÒ FARE
“Bisogna sviluppare pratiche agricole che gestiscano le piante infette – spiega Boscia – al momento stiamo percorrendo due strade per salvare gli ulivi secolari malati: da una parte sperimentando innesti tolleranti alla xylella, un esempio è il cultivar del leccino, dall’altra i ricercatori stanno tentando una sorta di medicina che riduca i sintomi, ma siamo ad una fase iniziale”.
È la sputacchina (Philaenus spumarius) l’insetto vettore che trasporta il batterio sulle piante degli ulivi. La xylella ostruisce i vasi dello xilema, tessuto delle piante nel quale scorre la linfa grezza: l’acqua e i nutrienti catturati dal suolo. Per limitare l’espansione gli entomologi suggeriscono di arare i prati attorno agli uliveti ad aprile, quando i fili d’erba ospitano le schiume prodotte dalle sputtacchine nelle quali sono protetti i piccoli così “si puó eliminare fino al 90% degli insetti neonati”.
CHE COSA NON SI PUÒ FARE
Contro il batterio Xylella fastidiosa non si può rispondere con l’antibiotico: “In agricoltura è vietato perché rischia di selezionare xylelle resistenti quindi ancora più aggressive: è una regola generale della agronomia – informa Boscia – poi in piante così grandi sarebbe sia poco fattibile che inefficace, gli alberi non guarirebbero, si attenuerebbe solo la carica batterica temporaneamente. Per non parlare di quale scandalo potrebbe nascere se nel carrello ci finisse dell’olio con l’antibiotico?”.
Gli agricoltori che perdono ulivi non possono reimpiantarli: “Ad oggi la normativa europea vieta di piantare ulivi e altri alberi suscettibili a xylella, stiamo negoziando per chiedere una deroga all’UE per piantarne di nuovi con cultivar valutati sicuri, ma è tutto in corso e non possiamo fare previsioni”.
COME È ARRIVATA LA XYLELLA IN PUGLIA?
È l’esame del Dna a risolvere l’enigma: negli oleandri e nelle piante di caffè del Costa Rica sono state trovate xylelle identiche – con lo stesso codice genetico – a quelle pugliesi. “Questa è la dimostrazione che l’area di provenienza è il Centro America, d’altronde il Costa Rica esporta ogni anno oltre 40 milioni di piante ornamentali in Europa: chissà quante altre piante ospitano il batterio”.
Dal Nuovo Mondo le piante costaricane raggiungono per il 99% il porto di Rotterdam. Una volta in Olanda si perde la tracciabilità perché “con la carta di identità europea i prodotti circolano liberamente senza dover render conto a nessuno”. Non sorprende che l’epidemia si sia proprio scatenata in Puglia: “Gallipoli è un discreto distretto florovivaistico, è una Sanremo del Salento”.
LA DIFESA DELL’EUROPA
Il 18 maggio del 2015, l’Unione Europea con la Decisione di Esecuzione n.789 ha vietato l’importazione di piante di caffè dal Costa Rica e dall’Honduras. Ma già dal 2000 la xylella è bandita: il batterio è citato nella Direttiva comunitaria 29 del 2000 che elenca gli organismi nocivi da quarantena. Ma allora come mai si è scatenata l’epidemia? “La direttiva dice che le piante possono entrare se provengono da una zona in cui non c’è xylella”.
È al servizio fitosanitario del Ministero dell’Agricoltura che spetta il controllo delle carte, ma siccome per come è impostata la direttiva, non sono richieste analisi alle importazioni, il via libera autorizzato dalle carte non garantisce al 100% che non ci sia davvero la xylella. “In Australia, Cile o Stati Uniti questa epidemia non sarebbe mai avvenuta, non bastano le carte a posto ma occorrono le analisi” chiosa Boscia. E intanto sono stati scoperti nuovi focolai in Corsica e in Provenza, sebbene pare siano ceppi di xylella che non colpiscano l’ulivo.
ARGOMENTI TABÙ AL FESTIVAL
Non si è voluto parlare né del pericolo speculazioni immobiliari, né dei pesticidi Monsanto o delle discariche abusive che inquinando il terreno indeboliscono le difese immunitarie degli ulivi, favorendo l’epidemia. Notizie raccontate dai giornali e bollate dai relatori come esempio di discostamento tra scienza e opinione pubblica. Eppure le mappe tra area di disseccamento e area dei tumori alla vescica e ai polmoni sono ben sovrapponibili, secondo quanto riportato dall’istituto oncologico Giovanni Paolo II di Bari. Un terreno spinoso che il festival ha preferito archiviare.

Donato Boscia, fitopatologo del Cnr di Bari (al centro, a sinistra del computer)
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