Una storia da cozze: “Ci amate e ci odiate da anni siamo intossicate, ora dobbiamo scappare”

di Chiara Venuto

“Gli esseri umani ci adulano, dicono che siamo fantastiche, importanti, una parte fondamentale della tradizione. Poi, ci uccidono”. Mai avrei creduto di intervistare una cozza. Eppure eccoci qui. In un mondo come quello in cui viviamo, con il cambiamento climatico in atto, l’inquinamento delle acque sempre più allarmante, un caldo ogni giorno più asfissiante, non potrei avere interlocutore più adatto per parlare di mare.
“Finché ci mangiava, tutto sommato l’essere umano faceva il suo lavoro – racconta la cozza –. Noi mitili lo sappiamo, siamo buoni in ogni modo: col riso, la pasta, la salsa, il pangrattato… Certo, non siamo felici e preferiremmo poter vivere tutta la nostra vita, ma da che mondo è mondo è così e ce ne siamo fatti una ragione. Ora però è troppo, da decenni qui a Taranto ci fanno pure ammalare. Noi puliamo i vostri mari e voi ci ringraziate dandoci da mangiare rifiuti tossici”. Siamo sulle sponde del Mar Piccolo del capoluogo pugliese.
Davanti, un panorama splendido. Nell’aria, odore di morte. Da tempo, per via dell’inquinamento dell’ex Ilva, le cozze hanno cominciato ad assorbire diossina, restandone contaminate. E non ne sono affatto felici. In più, il dramma ha messo in difficoltà il settore primario di una località che poteva vantarsi della delizia dei propri
prodotti in tutta Italia e nel mondo. “Oggi ci sono dei metodi per filtrare l’acqua – chiarisce la cozza – ma dobbiamo sempre restare all’erta. Ci sentiamo proprio come gli abitanti del quartiere Tamburi che se sotto la doccia, lavandosi, percepiscono un linfonodo ingrossato non vanno dal medico di famiglia, ma dall’oncologo. Sanno già di che cosa si tratta”.
Il tema dell’Ilva riempie i giornali pure in questi giorni. “L’acquisiranno degli azeri, mi hanno detto, c’è passaparola anche in mare – mi spiega – io non so dove sia l’Azerbaigian ma credo lontano. Dicono che porteranno una grande nave con dentro il gas. Non è energia rinnovabile. Ma parlano di decarbonizzazione e green, e io non capisco”. L’obiettivo per il futuro è usare solo forni elettrici. “Questo è positivo, per carità, ma finché c’è il gas su un’imbarcazione non è che noi siamo tranquillissime”, commenta chiudendo un po’ il guscio.
“Comunque, noi non siamo le uniche cozze che dovrebbero stare al centro delle cronache”, interviene il mollusco. In che senso? “Le nostre compagne di Messina, meno note ma ugualmente deliziose secondo gli esseri umani, potrebbero presto trovarsi in compagnia di centinaia di operai e della loro sporcizia”. La cozza si riferisce a quelli che dovranno lavorare al ponte sullo Stretto. Una delle torri di 399 metri poggerà proprio sul
pezzo di terra tra i due laghi di Ganzirri, che si trovano dentro la città siciliana e ne rappresentano una delle località turistiche più amate. Qui si pratica la mitilicoltura – anche oramai meno che a Taranto – e sono diversi i caratteristici ristoranti di pesce sulle rive dei laghetti. Diverse specie vegetali saranno oggetto di opere di compensazione ambientale, perché dovranno essere tolte da lì per via del ponte. “Non ci è chiaro – polemizza la cozza quanto sarà forte l’impatto sui due laghi e sugli animali che vi vivono al loro interno. Speriamo bene”.
Ma invece il riscaldamento globale? “Ci fa male, ci stressa. Rischiamo di morire – dice -. E la nostra strategia, così come quella delle cugine vongole, è sempre stata quella di migrare. Questo vuol dire che possiamo sopravvivere, ma se ce ne andiamo, se diventiamo rifugiate climatiche. Non vorremmo esserlo anche stavolta”.